Missione Formare: intervista a Carlo Gandolfo
Unicorni: chi sono queste figure rarissime, in ambito aziendale?
Cosa intendiamo per multipotenziali e come fare per riconoscerli?
Che vantaggi possono portare in azienda? E quali rischi si corrono se non vengono valorizzati in un team?
In questa nuova intervista per Missione Formare, ne parlo con Carlo Gandolfo: formatore, consulente in change management e Digital Transformation Coach.
Davide: Buongiorno Carlo, di cosa parliamo oggi?
Carlo: Oggi parliamo di unicorni, quelle strane creature che sono poi i profili lavorativi multipotenziali.
Davide: Rispetto alle puntate precedenti di Missione Formare, che sono state più delle interviste, oggi porteremo avanti una sorta di dialogo, di confronto con te.
Gli unicorni fanno anche parte del nome del progetto Unicornucopia, e li abbiamo scelti proprio perché sono introvabili. Quanti ne hai trovati tu nella tua carriera, visto che ti occupi anche di formare?
Carlo: Ne ho trovato qualcuno, ma ho notato che c’è sempre il rischio di perderli e di non accorgersi delle loro potenzialità: nel momento in cui si fa formazione, soprattutto all’interno delle aziende, si rischia di ragionare per compartimenti, ossia di fare formazione per chi è più tendenzialmente generalista o per chi è più specialista. Ma ci si può dimenticare di un mondo che è “altro” rispetto a questi, quello dei multipotenziali o multispecialisti, gli unicorni appunto, persone che hanno capacità e mostrano entusiasmo in diversi ambiti di attività o di specializzazione.
A un primo sguardo, sembrano individui che passano da un argomento all’altro perché non hanno voglia di impegnarsi o di concentrarsi, ma spesso lo fanno semplicemente perché sono riusciti a entrare già nell’argomento scelto a sufficienza e hanno voglia di andare oltre. Riuscire a trovarli anche nel campo della formazione e potenziarne il talento nel formare è una bella sfida.
Davide: Ultimamente parlo spesso con persone che si stanno affacciando a questo mondo e che pensano di essere dei multipotenziali o quantomeno dei generalisti.
Spieghiamo rapidamente: da una parte, abbiamo i cosiddetti profili a I, dove la “I” sta per “iperspecializzato”, cioè persone che nella loro carriera continuano ad approfondire un singolo tema o ambito.
Dalla parte opposta, abbiamo i generalisti, persone con molti interessi che magari intraprendono un primo percorso lavorativo che in qualche modo polarizza la loro concentrazione, quindi potremmo quasi scambiarli per profili a I; ma nel momento in cui fanno qualcosa solo per passione, o per hobby, si ritrovano lontani anni luce dal loro lavoro.
In mezzo, abbiamo i profili a T, in possesso di una formazione approfondita su un argomento, che poi si allarga con altre competenze trasversali relative alle loro conoscenze iniziali.
Noi ci muoviamo all’interno di questo perimetro nel formare, con l’obiettivo di valorizzare multidisciplinarietà e conoscenze trasversali, per andare a caccia dei veri e propri unicorni.
Carlo: Tra l’altro una cosa che rende questi unicorni abbastanza facili da trovare, se uno sa come fare, è osservarli: mostrano entusiasmo nel lavorare su ambiti molto distinti e la capacità di lavorare proprio sul confine esistente tra discipline diverse. Frequentando più reti, inoltre, sono degli ottimi networker.
Davide: Una delle criticità nell’interagire con queste persone nelle aziende, è il nostro fossilizzarci ancora sui ruoli della job description o del bigliettino da visita, ragionare sempre in modo schematico, per cui il singolo viene collocato in un ambito ben specifico e si occupa di una sola mansione, anche quando ha alle spalle già una cultura più trasversale. Quando queste persone provano a proporre qualcosa in un ambito in cui in realtà non lavorano direttamente, spesso non vengono nemmeno presi in considerazione, ed è così che si perdono opportunità di miglioramento.
Multidisciplinarietà e unicorni li ritroviamo come concetti fin dal Rinascimento: pensiamo a Leonardo Da Vinci, che operava in tantissime aree di interesse e di studio, tutte molto approfondite; ecco, lui molto probabilmente era un unicorno. Come possiamo utilizzare questi talenti poliedrici in azienda?
Carlo: La prima cosa a cui prestare attenzione è riuscire veramente a valorizzare i loro “superpoteri”, ossia la capacità di contaminare tra loro ambiti diversi, o diversi modelli di pensiero e argomenti, un modo tutto loro di vedere il mondo.
Gli unicorni imparano molto rapidamente e spesso riescono bene in ciò che fanno, quindi anche noi nel formare dobbiamo tenerne conto, perché si “stancano” di un argomento piuttosto in fretta. Sono anche persone molto tenaci, nel senso che se non hanno ancora risolto un problema, è semplicemente perché non l’hanno ancora capito abbastanza a fondo, perciò per loro c’è sempre un margine per comprendere, per studiare, per elaborare una soluzione possibile.
Davide: Gli unicorni quindi continuano a cercare sfide e sono persone in grado di tradurre concetti da un mondo all’altro. Stanno già accadendo cose di questo tipo anche al di fuori della sfera aziendale o lavorativa, per cui alcune discipline un tempo distinte ora si sono fuse insieme: pensiamo alla meccatronica.
Il mondo intorno a noi si adatta e pian piano arriva a gestire anche questi aspetti, mentre il multipotenziale ci è già arrivato con molto anticipo, con questa sua velocità di analisi e di implementazione che facilita e accorcia molto qualsiasi percorso evolutivo, sia personale che aziendale.
Carlo: C’è anche l’altra faccia della medaglia: dato che i multipotenziali sono persone che amano molto sperimentare e buttarsi nelle situazioni, bisogna aiutarle un po’ con la loro capacità di gestire i rischi, fare in modo che abbiano la libertà di fare tutti gli esperimenti che desiderano, ma sempre all’interno di un perimetro dove i rischi sono contenuti, quindi probabilmente una delle prime capacità su cui bisogna investire è quella di capire quando ci si può permettere di fare degli esperimenti per portare avanti l’innovazione in azienda.
Davide: Ma quindi: unicorni si nasce?
Carlo: Io penso che tendenzialmente lo siamo tutti, nel senso che la curiosità e la voglia di esplorare è innata nelle persone. C’è probabilmente chi, nel corso della sua crescita, ha incontrato più ostacoli o bastoni tra le ruote e ha rinunciato un po’ a esplorare. Non dico che basterebbe anche da adulti eliminare questi blocchi o ostacoli per diventare automaticamente degli unicorni, però è un tentativo che a volte vale la pena fare.
Davide: Lavorando per formare più persone con un profilo a T, che sono più facili da trovare rispetto al passato, ho notato che il contesto può fare davvero la differenza, così come avere la fortuna, negli anni, di operare in un terreno fertile che ti permetta di esplorare.
Ricordo un episodio con un cliente: una persona interna all’azienda, che si sarebbe dovuta occupare dell’organizzazione di un grosso evento, è andata in maternità, perciò è stato chiesto a ciascun membro del team interno di provare a prendere in carico questo progetto: una risorsa che fino ad allora si era occupata di amministrazione ha scoperto così di avere delle doti inaspettate e innate per la gestione degli eventi. Una semplice domanda ha svelato il potenziale di una persona.
Carlo: Questo è un punto fondamentale, fare molta più attenzione nel formare alle domande che non alle risposte o alle affermazioni: usiamo più punti di domanda e meno punti esclamativi.
È sempre importante riuscire ad approfondire le proprie competenze e la propria formazione, indipendentemente dall’essere multipotenziali unicorni o meno, e probabilmente la cosa più difficile ma anche più efficace che un formatore possa fare è proprio mostrare la destinazione più che il percorso, far vedere il punto di arrivo e poi lasciare la possibilità alle persone che formiamo di esplorare e guardare al percorso anche meglio di noi, per formare, sviluppare e fare emergere appieno le loro skills e i loro profili.
Davide: Abbiamo parlato dei multipotenziali come di supereroi con dei superpoteri, ma anche gli unicorni hanno una loro “kriptonite”?
Carlo: Come dicevamo prima, tendono a imparare velocemente, quindi si “stancano” di un argomento o di una sfida abbastanza in fretta. Significa che perdono entusiasmo? Non esattamente, semplicemente lo trasferiscono su qualche cosa di nuovo.
In ambito aziendale, può emergere la loro tendenza a divergere con gli altri, sia per quel che riguarda gli ambiti sia per le attività vere e proprie: sono persone che hanno anche una tendenza al multitasking abbastanza patologica.
Per aiutarli, bisogna insegnargli ad acquisire strumenti per ridurre il multitasking eccessivo e imparare a focalizzarsi su una cosa alla volta e a metterla subito in pratica.
Davide: Se per certi versi hanno una capacità di “unire i puntini” pazzesca, anche tra ambiti distanti tra loro, dall’altro i multipotenziali danno spesso per scontato che anche gli altri abbiano fatto i loro stessi ragionamenti, quindi omettono tanti passaggi logici nelle spiegazioni, nel confronto e nel dialogo con gli altri, e faticano a volte a farsi comprendere. Le loro intuizioni sono quasi sempre corrette, ma affinché anche il resto del team le segua e le sostenga, nel formare dobbiamo dargli gli strumenti per spiegarle.
Carlo: Questo mi ricorda che è importante riuscire a uscire anche dalla razionalità pura: gli unicorni, come tutti, sono persone razionali ma anche non razionali.Per andare a stimolare dei collegamenti nuovi, la cosa migliore è quella di usare metafore e sinestesie per formare.
In quest’ottica, mi viene in mente che uno dei più bei manuali per multipotenziali che io abbia mai letto è Lo Zibaldone di Leopardi!
Davide: Cosa rischiano le aziende che non colgono l’opportunità di avere nel team dei multipotenziali?
Carlo: Si rischia di perdere un propulsore all’innovazione, qualcuno che sia in grado di realizzare qualcosa spesso senza neanche bisogno di grossi investimenti tecnologici. Cortocircuitando ambiti diversi, aiuta a trovare un terreno fertile su cui far crescere qualche cosa che è lì da sempre, ma che non avevamo mai notato:si tratta di un’innovazione non evolutiva, ma, come dicono in inglese, “revolutionary evolutionary”, innovazioni rivoluzionarie che possono fare la differenza sul riuscire a rimanere nel mercato. Questo discorso vale un po’ per tutte le persone che lavorano in un’azienda, cambiare un po’ l’approccio rispetto a come interagiscono, alle loro relazioni, può innescare questi benefici oppure può portare a perderli.
Davide: Dal punto di vista dei multipotenziali, invece, non avere piena consapevolezza di tutto il loro potenziale, che rischi gli porta?
Carlo: Sicuramente porta insoddisfazione, quindi diventa difficile riuscire a stare all’interno di un solo contesto professionale sentendosi a proprio agio.
All’interno di un’organizzazione, le persone che hanno più interessi hanno due possibilità: sviluppare delle carriere in serie, una dopo l’altra, oppure portarne avanti più di una in parallelo, e questo rischia di essere molto stancante.
Davide: Qualcuno potrebbe dire, ma allora gli unicorni o i multipotenziali sono tutti slasher workers?
Carlo: In parte può essere vero, ma non necessariamente: a volte restano loro malgrado inchiodati a un job title e non riescono a liberare le loro potenzialità.
Davide: Io penso che ci possano essere due tipi di slasher: tutti sono persone che magari nell’arco di una settimana portano avanti lavori verticali in ambiti diversi con diversi clienti, ma metà di queste potrebbero essere multipotenziali, metà sono di solito freelance, che applicano un ambito specifico, un background comune a tre clienti diversi.
Slasher non è per forza sinonimo di unicorno, ma se gli ambiti nei quali noi ci muoviamo e lavoriamo sono molto lontani tra di loro, allora potremmo essere slasher workers che sono anche multipotenziali.
Grazie mille Carlo per il tempo che ci hai dedicato.
Carlo: Grazie a te.
Immagine da Depositphotos.
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