Unire i puntini con Paolo Pugni
Unire i puntini.
Questa espressione è stata resa celebre da Steve Jobs nel suo discorso agli studenti di Stanford:
“Non è possibile unire i puntini guardando avanti; potete solo unirli guardandovi all’indietro. Così, dovete aver fiducia che in qualche modo, nel futuro, i puntini si potranno unire”.
Parte da qui questa nuova puntata del podcast dove, a unire i puntini insieme a me c’è Paolo Pugni del podcast “Vendere Valore”.
Partiamo dai!
Unire i puntini
Davide: Allora partiamo subito con la prima domanda. Unire i puntini. Oltre a essere un’espressione che il buon Steve Jobs ha reso famosa, è anche il titolo di un tuo podcast. Come nasce quest’idea e di che cosa parli?
Paolo: Quando sentii quella famosa conferenza oramai di tanti anni fa di Steve Jobs, cominciò a venir fuori qualche idea, perché in effetti è importante capire come mai siamo quello che siamo oggi.
Ad esempio, una strategia che ho proposto a molti amici e anche quando lavoro con le aziende è: in un curriculum non spiegarmi cosa hai fatto. Non mi interessa sapere che cosa hai fatto, mi interessa sapere cosa hai imparato.
Mi spiego: che io durante l’università abbia fatto il commesso in un negozio o lavorato in un bar non importa, ma sapere che ho imparato a dialogare con un cliente, a capire cosa voleva dire dargli retta, a capire magari che se la tazzina te la pongo in modo tale che tu hai il manico dalla parte giusta ti faccio un servizio beh, questo è importante perché vuol dire che oggi sono una persona diversa rispetto (e grazie) a quella esperienza.
Questo vale anche per le aziende e credo che sia importante raccontare gli insuccessi che ci hanno fatto maturare, perché noi maturiamo anche negli insuccessi e quindi l’idea di collegare i puntini passa anche da questo.
Io credo che ognuno di noi abbia la possibilità di andare a riguardare quello che ha fatto nella sua storia, da bambino fino a oggi, e magari spiegare perché oggi si sente capace di dare una mano alle aziende, di essere un buon professionista, di essere un buon imprenditore, partendo proprio da queste esperienze. E non soltanto.
Ti racconto qualcosa della mia vita spiegandoti cosa ho imparato, ma vorrei soprattutto che tu facessi la stessa cosa, raccontando ai tuoi clienti la storia della tua azienda, non soltanto magnificando che sia il leader di mercato, ma dicendo che negli anni della crisi del 2005-2010 hai fatto fatica ad arrivare a fine mese, hai dovuto magari raschiare il barile e cosa hai imparato in quel momento?
Quindi secondo me è un andare a guardare il passato per spiegare il presente e guardare al futuro.
Una questione di mindset
Davide: Quindi mi stai dicendo che i unire i puntini potrebbe essere una sorta di mindset?
Paolo: Oh sicuramente sì, certo, è chiaro che mi viene più facile adesso che ho passato i sessant’anni perché di puntini ne ho tanti. Per quello che riguarda invece le persone più giovani, forse si fa un po’ più fatica, ma diciamo che fondamentalmente io credo che il mindset che ci sia dietro è l’atteggiamento di studio, di apprendimento.
Io da ogni situazione posso imparare, tu ce l’hai insegnato con un anno di Che cosa ho imparato questa settimana. Quindi se ho questo tipo di atteggiamento che mi permette di tirare fuori qualcosa da ogni particolare situazione, alla fine accumulo così tanti puntini che sono in cima.
Davide: Questi puntini sono un po’ come briciole di pane che in qualche modo fanno la michetta, la guardiamo restando in questo tipo di metafora. Credo che, così come cerco di fare io portando avanti la mia rubrica ogni settimana, anche tu con il Un Caffè con Paolo aiuti gli altri a unire i puntini attraverso le riflessioni che fai.
Paolo: Li cerco nella società, io “vedo puntini ovunque”. Scherzi a parte, il concetto secondo me è che veramente io posso cogliere ogni spunto per migliorare come persona innanzitutto, e come professionista, come azienda.
Quindi il Caffè sono le cose che mi colpiscono e che voglio condividere, ma anche per argomentare, per dire che non solo d’accordo, cercando di tirare fuori da ogni singolo istante quel famoso “Cogli l’attimo”, vagliare ogni cosa e tenere quello che ti serve.
A volte abbiamo una certa ritrosia a farlo, che a mio parere può essere eccessiva: ad esempio ci preoccupiamo del raccontare i nostri sbagli, ma si può imparare molto dagli errori e, tra l’altro, questo ci rende forse più vicini anche ai nostri clienti, più vicini alle altre persone.
Due aneddoti esemplari
Davide: Ottime riflessioni Paolo, e tra tutti i puntini che hai unito nella tua carriera, quali sono i due più lontani? Che tu apparentemente quando vedi queste due cose, magari distanti nel tempo, e dici “ma guarda qua che ponte ho costruito”?
Paolo: Ce ne sono due che ricordo con molto affetto e molta intensità, perché sono molto lontani nel tempo e mi hanno aperto gli occhi su alcune cose, anzi uno ha proprio condizionato il mio modo di fare.
Ero un bambino, ero piccolino, mi piacevano le sperimentazioni…
Uno dei regali di Natale che avevo ricevuto era “Il piccolo chimico”. Mi sono messo a giocare, c’erano una serie di istruzioni, ma poi ovviamente sperimenti mettendo insieme le cose senza sapere quello che stai facendo.
Mi ricordo che alla fine venne fuori una brodaglia marroncina, non sapevo cosa fosse.
Invitato da mia madre ad andare a eliminarla, presi la strada del bagno per andare a buttarla nel water, e facendo questa strada sgocciolai sul pavimento di piastrelle verdi luccicanti, lasciando delle macchie dure e difficili da pulire.
Mia madre, che ci teneva moltissimo, si infuriò a tal punto che prese il gioco, lo fece a pezzi e lo butto in spazzatura. Me la ricordo ancora quella scena, per dire cose che nel tempo sono rimaste impresse.
Ecco, io quel giorno dissi “Da grande farò il chimico” e… feci il chimico. Sono laureato in chimica industriale.
Fu generata in me una modalità per cui quando mi fai arrabbiare faccio le cose.
Il Caffè è nato così: io stavo lavorando con un’azienda di zucchero, proposi di fare dei micro video di una ventina di secondi, con un’applicazione nuova.
Dico: “Ma perché non fate un “Caffè” al mattino? Vendete zucchero, fate una rubrica durante la colazione”.
Risposta: “Ma no, è presto, questi mezzi nuovi, non sappiamo… bla bla”.
Mi sono arrabbiato e dissi “Allora lo faccio io”. E nacque “Un Caffè con Paolo”.
Quindi questa modalità di reagire alle situazioni impegnandomi credo che mi sia rimasta.
Un po’ di anni dopo, siamo all’ultimo anno di liceo classico, la matematica e la fisica erano materie secondarie, ma a me invece piacevano, ero uno dei pochi “cocchi” dell’insegnante che tutti la detestavano.
Questa insegnante un giorno mi interroga, e io non avevo studiato niente, ma proprio niente! Mi interroga sulla legge dei gas, quindi mi chiama alla lavagna:
“Pugni, parliamo della legge naturale dei gas.”
Non sapevo di cosa stesse parlando, lei mi guarda con un sorriso e dice:
“PV uguale NRT…?”
Io scrivo alla lavagna “PV = NRT”. Sorrido.
E lei dice: “P sta per…?”
Io dico: “P sta per…?” E lei continua la frase con la risposta, io scrivo.
Siamo andati avanti così 20 minuti. Interrogazione in cui lei faceva una domanda, io le ripetevo la domanda sorridendo, lei mi dava la risposta, io scrivevo la risposta alla lavagna.
E alla fine dell’ora mi manda a posto, finisce di spiegare, penso: “Va be’… 3 se sono fortunato?”.
Suona la campanella, vado alla cattedra e chiedo il voto: Eh, Pugni, ma come sempre 9.
Allora lì scoprii la potenza del personal brand! Fondamentalmente la reputazione nella sua testa era che io fossi quello bravo, quello che studiava, quello che non poteva non sapere le cose per cui, nonostante io non avessi detto una sola sillaba in più di quello che diceva lei, per lei era logico che io in realtà quelle cose le sapessi.
E questa fu una bella, una gran bella lezione, no? Perché ti fa pensare: “Se io costruisco sulla mia competenza, poi alla fine la gente mi concede anche dei possibili errori, quasi senza accorgersi”.
E quindi direi che questi sono “i puntini” che ricordo con più intensità.
Davide: Paolo sai cosa mi viene in mente? Che c’è anche un’altra chiave di lettura di questo tuo ultimo aneddoto, che si potrebbe collegare ad altri argomenti che tutti e due trattiamo quando siamo in aula: il potere delle domande.
Perché in realtà in quel momento era come se tu la stessi quasi interrogando. E uno degli assiomi della vendita è che “chi domanda comanda”. Avevi già il DNA del venditore!
“Cosa ho imparato”: la rubrica di Davide Giansoldati
Paolo: Tocca a me fare domande, facciamo un po’ per uno. Volevo tornare proprio sui tuoi puntini. Tu l’anno scorso, 1 gennaio 2022, hai lanciato questa meravigliosa rubrica intitolata Cosa ho imparato questa settimana, che avrebbe dovuto completarsi a fine 2022, poi in realtà sei andato avanti. Perché? Qual è stata l’idea che ti ha mosso?
Davide: Questa rubrica è figlia di una sorta di “compitino” interno a una community di cui faccio parte, per cui nella Community di Raffaele Gaito ogni sabato lui ci sfida a raccontare qualcosa che abbiamo imparato.
A un certo punto ho pensato: “Una parte di queste informazioni potrebbero interessare anche un pubblico più ampio” e quindi è così che è partita quella rubrica su LinkedIn, con la sfida in più della costanza: quando tu la lanci come sfida pubblica, c’è un livello di engagement delle persone che leggono. Loro sono fondamentali, così come sono fondamentali poi le reazioni e le interazioni, come paradossalmente anche le “docce fredde”.
Se ci pensi, magari io faccio in una settimana un post con un “Cosa ha imparato” incredibile e… reazioni zero. Altre volte condivido una piccola sciocchezza che ho scoperto e parte un dialogo con 10/15 persone che interagiscono. Dipende molto dalla percezione esterna, ma continua a essere formativo il semplice vedere cosa accade settimana dopo settimana, che è uno dei motivi per cui sono andato avanti anche dopo le 52 settimane.
Lo faccio per me, egoisticamente dal tipo di reazioni che ottengo, capisco anche meglio a cosa è interessata di più la mia community.
Paolo: In qualche modo imito la tua domanda: quali sono state due cose che hai appreso che ti hanno permesso di crescere?
Davide: La prima che continua a essere, diciamo, un’area di miglioramento, e che è facile nel “Cosa ho imparato” cadere un po’ in una sorta di autocelebrazione.
Ad esempio una volta ho raccontato di aver lavorato con dei clienti sulla fiducia: grazie al fatto di aver costruito la fiducia nel loro team, hanno raggiunto dei risultati. Ho invitato a porre di più la fiducia al centro della comunicazione.
Ma in realtà, come tipo di feedback com’è andata? È passata quasi in sordina, secondo me sembrava troppo autocelebrativa.
Per cui sto cercando di spostare un po’ il tiro su un discorso causa-effetto, cioè più che raccontarti cosa mi è capitato, l’ho trasformata in: “Ma voi cosa ne pensate della fiducia bla bla bla? Ecco che cosa faccio io.”, che sposta il focus.
Nel momento in cui io racconto un’esperienza, è un’esperienza che magari mi ha portato un “sei bravo”, diciamolo. È difficile mantenere l’equilibrio giusto nel raccontarla senza voler autocelebrarsi o essere percepito come tale, perché in fin dei conti se ho fatto una cosa bene, è giusto anche che te la dica.
Paolo: Non è che c’è forse una lettura un po’ maliziosa dall’altra parte?
Davide: Siamo su Internet, Paolo, e c’è sempre una lettura maliziosa. In tutti i contesti, magari la stessa rubrica raccontata in presenza a 15 persone che vogliono davvero sentirla avrebbe un impatto diverso, mentre quando la raccontiamo all’intero mondo del digital vale la qualunque. Infondo conta anche il mood con cui ci svegliamo quella mattina.
Noi facciamo questo per mestiere, sappiamo che ci sono di mezzo gli algoritmi in queste cose, ma qualcuno davanti a scarse risposte può chiedersi “ma perché questa persona non condivide?” oppure, peggio ancora, c’è Il Condivisore Seriale che su qualsiasi cosa tu dici mette un Mi piace o Condividi a prescindere dal contenuto. Quindi c’è un livello di interesse che è misurabile fino a un certo punto. La viviamo come un esercizio, perché comunque è un esercizio che allena la nostra costanza.
Non esiste settimana nella quale non impariamo, capita che non portiamo l’attenzione a questo imparare. Ed è anche un bel modo per dare un valore pazzesco ai 5, 6 giorni precedenti che sennò normalmente sembrano solo passati. Ma se vuoi la la guardiamo anche dall’altro punto di vista e certe settimane vorresti scrivere un libro di quello che hai imparato.
Unicorni e Profili a T, cosa sono?
Paolo: Tu hai lanciato di recente, direi nell’ultimo anno nel senso forse più scolastico, questo progetto sugli Unicorni. Ci racconti qualcosa? Che cosa sono? Che cosa state facendo all’interno di questa comunità?
Davide: Il progetto degli degli Unicorni, che ha preso come nome unicornucopia.it, ha come obiettivo quello di dare una risposta a un grande vuoto formativo. Dal secondo dopoguerra in poi, siamo stati “vittime” di un’esigenza di formazione verticale che spesso chiamiamo “iperspecializzazione”.
In molti contesti, è bene che ci sia, cioè abbiamo bisogno di trovare dall’operaio semplice all’operaio specializzato; dal medico della mutua generalista al super esperto di quella malattia, di quel tipo di operazioni; l’avvocato esperto di diritto internazionale tra queste due nazioni e così via.
Solo che a un certo punto che cosa succede? È un po’ come se nel momento in cui mettiamo nella stessa stanza queste persone, parlassero lingue diverse, come mettere un italiano, un inglese, un francese e un tedesco nella stessa stanza.
Già intorno agli anni ‘90 si è iniziato a sentire il bisogno di figure in grado di fare da “traduttore”, che sanno un po’ di una materia un po’ dell’altra e quindi riescono a spiegarla reciprocamente.
In gergo si dice che queste persone hanno un profilo a T, dove a un certo punto la loro, “I” verticale di iperspecializzazione si ferma per decidere di aprire di più gli orizzonti e quindi l’architrave della T diventa la metafora dell’espansione della loro conoscenza.
Passo successivo, dai profili a T si arriva ai profili a Pi-greco, quindi a un certo punto nella nostra vita noi incontriamo una nuova macroarea che ci interessa approfondire, di nuovo, andiamo in profondità e dai profili a Pi-greco si può passare a profili ancora più generalisti, a Pettine, a Chiave, per arrivare poi a figure mitologiche che appunto sono gli Unicorni.
Gli Unicorni sono persone abbastanza introvabili, ma non solo in Italia, anche nel mondo. Hanno proprio questa capacità di muoversi trasversalmente, ma se tu hai più o meno una competenza di questo tipo e vai in un’azienda, le aziende non ti sanno valorizzare, cercano di farti fare un ruolo verticale e tu lì ci stai stretto.
Allo stesso modo, la tua sensazione di non concludere niente in quell’azienda, cioè di non essere utile, è un po’ come cercare a tutti i costi di voler usare uno strumento in un unico modo, ma diciamo che i multipotenziali sono come coltellini svizzeri.
Mentre i professionisti verticali sono il singolo strumento, il bello del coltellino svizzero è che porti a casa tutti gli strumenti. Ovvio che poi se devi, che ne so, montare una scrivania dell’Ikea col coltellino svizzero non è comodo come con un cacciavite, però è meglio di niente se il coltellino svizzero ha dentro anche il cacciavite. Vuoi fare un lavoro più professionale? Prendi il cacciavite o addirittura l’avvitatore elettrico.
Ecco, questo è la logica, ma nel momento in cui ho bisogno di condividere queste informazioni, questo tipo di figure fanno proprio da ponti, da traduttori, da creatori di connessioni proprio perché conoscono un po’ di una materia e dell’altra, aiutano entrambi.
E a volte hanno quell’intuizione che i singoli verticali non hanno.
Paolo: Oggi mi sembra di vedere una mancanza di visione globale, di qualcuno che metta assieme. Mi capita spesso di lavorare anche con aziende in cui ci sono in parallelo magari tanti professionisti diversi, ma la visione globale chi ce l’ha? In che modo metti in gioco la loro efficacia maggiore? Se ti manca un coordinamento, credo che questa figura abbia anche questo ruolo di regia. Cosa ne pensi?
Davide: Proprio così, se la guardiamo da due punti di vista diversi, da un lato fluidificano i processi, proprio perché fanno passare le informazioni, e dall’altro le condividono.
Diciamo che noi siamo un po’ figli di strategie “Silos” nelle aziende. I silos sono in realtà in questo periodo, a proposito di visione, la morte delle aziende, perché questo è il periodo della condivisione, per cui se io mi tengo il mio orticello e penso di avere il dominio ma questo diventa sterile, è da buttar via. Dal nostro punto di vista queste figure creano il terreno fertile, sono quel concime che accelera la crescita delle piante.
Il problema qual è? Loro non sanno come valorizzarsi, le aziende non sanno come gestirli, non sanno neanche, magari di averli e quindi sono dei talenti sprecati, che poi un bel giorno se ne vanno per cambiare.
I percorsi di formazione di Unicornucopia
Paolo: Quali sono le tematiche affrontate nella formazione di questi “coltellini svizzeri”?
Davide: Noi adesso siamo partiti con un primo percorso e a cui a breve se ne aggiungerà un secondo. Il primo, Formiamo i talenti che formano talenti, è totalmente in presenza, si ripropone ogni anno e abbiamo deciso di investire sul mondo dei formatori per trasformare formatori anche verticali su una loro competenza, dandogli scenari orizzontali.
L’approccio generale è “tu sei l’esperto del tuo contenuto, noi siamo esperti del contenitore”. Questo permette di massimizzare l’efficacia della tua formazione, trasferendo invece che il 20% l’80. A maggio avremo i primi diplomati del primo anno per cui faremo un Open day dove loro stessi organizzeranno un evento aperto al mondo.
L’altro percorso parte a marzo, quindi tra pochissimo, ed è un percorso per diventare “Content creator digitali con il profilo a T”.
Affianchiamo a una serie di verticalità, l’orizzontalità, e il bello di questo percorso, che dura un anno, è che puoi scegliere come costruire la tua verticalità e la tua orizzontalità: vuoi andare in profondità nel come si fanno i Podcast? Hai la possibilità. Vuoi giusto avere un’infarinatura? Stai sull’infarinatura.
Su tutte le materie che comunque un Content Creator dovrebbe conoscere, da YouTube a come si scrivono gli articoli, i contenuti, uno storyboard e anche qui ci muoviamo tra digital skill e soft skills.
Quindi è proprio questo il mix. L’elemento vincente è che sono tutte dirette, quindi non è una Academy di video registrati come ce ne sono tante altre. Sono incontri da due ore in cui l’esperto che portiamo ha la possibilità di raccontare poi di condividere questi contenuti con gli altri.
Paolo: Anche per me il tema delle Academy è estremamente stimolante, anche perché, detto egoisticamente, si impara moltissimo al di là del dare…
Davide: Assolutamente sì, Paolo. È una cosa che io dico sempre ai miei partecipanti: negli ultimi anni sto imparando più dalle loro domande che dalle mie ricerche approfondite e questa è una verità pazzesca, quindi è come se io tornassi studente, vorresti imparare le domande, non più le risposte.
Spoiler
Paolo: Senti, noi ci eravamo già incontrati al Festival della Vendita, è stato molto gradevole, ci rivedremo? Non hai pensato a un “Festival degli Unicorni”?
Davide: Io cavalco più il fenomeno delle giornate mondiali, per cui farò qualcosa il 15 Marzo, perché il 15 Marzo è la Giornata Mondiale del Public Speaking e io sono l’ambasciatore italiano e quindi magari se riusciamo a incrociare le agende, facciamo qualcosa. In seguito ho in serbo qualcosa per il 21 Aprile che è la Giornata Mondiale della Creatività.
Siamo arrivati alla fine della nostra doppia chiacchierata, in questa forma ibrida di doppio podcast. Confidiamo che abbiate unito qualche puntino in più! Vi suggeriamo ovviamente di curiosare e ascoltare entrambi i nostri podcast, aggiungendo il Caffè con Paolo alla vostra colazione!
Alla prossima.
Ascolta “Unire i puntini con Paolo Pugni | puntata 135” su Spreaker.
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