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Missione Formare: intervista a Lorenzo Campese

 

Formare usando le costellazioni familiari: cosa significa?

Possiamo utilizzarle come strumento di crescita e miglioramento personale?

E se le applicassimo anche in azienda?

In questa nuova intervista, pongo queste domande a Lorenzo Campese: formatore, coach, counselor e fondatore della scuola Altroove.

 

Davide: Ciao Lorenzo, benvenuto. Per chi non ti conosce, chi è Lorenzo Campese?

 

Lorenzo: Partiamo con una domanda facile! Ci vuole tutta una vita per rispondere alla domanda: “Chi sei veramente?”. Be’, io mi occupo di formare, di facilitazione e di apprendimento, sia nella dimensione aziendale e organizzativa, da cui provengo, sia in ambito privato, cioè nella crescita personale.

Amo profondamente quello che faccio e credo di essere uno di quei fortunati che è riuscito a coniugare passione e lavoro: mi diverto molto a essere un formatore e a formare.

 

Davide: Qual è stato il tuo passato prima di fare questo mestiere, prima di formare?

 

Lorenzo: Ho iniziato seguendo le orme di mio padre, che si occupava, come pioniere all’epoca, di security management, risk management e crisis management all’interno di Montedison, che poi è diventata Ferruzzi. Era l’epoca del terrorismo e mio padre, da ex ufficiale dei carabinieri, si trovò chiamato a occuparsi di aziende proprio in questi ambiti.

Andò a formarsi negli Stati Uniti, dove poi mi sono recato anch’io perché, a differenza dell’Italia, queste attività erano già conosciute e studiate nelle facoltà universitarie.

Inizialmente, quindi, mi sono occupato di tutt’altro, di consulenze molto più verticali e tecniche che avevano a che fare con la protezione delle risorse critiche delle aziende: solo dopo mi sono accorto che quello non era il mio mondo.

Finalmente ho allargato gli orizzonti, con una bellissima esperienza di formazione in Business Ethics, organizzata all’epoca da Assoetica e da Francesco Varanini e Bruno Bonsignore, personaggi di rilievo nel mondo della formazione. Ho capito che esisteva un management umanistico che stava prendendo piede e che corrispondeva proprio a quello che volevo fare.

Grazie a una serie di esperienze, ora faccio ciò che amo di più, cioè formare le persone e aiutarle e aiutarci insieme a crescere, perché la mia attività la porto avanti più per imparare io stesso, che non per insegnare. Formare significa vivere un flusso di costante crescita e apprendimento su noi stessi.

 

Davide: Come sei diventato formatore? Come hai capito che volevi formare?

 

Lorenzo: Io ho sempre saputo che avrei voluto formare, non sapevo come ci sarei riuscito, anche perché da ragazzino ero veramente molto chiuso e timido e quindi mi chiedevo: come riuscirò a fare il formatore?

In realtà, quando riconosci il tuo sogno, la tua vocazione, ne vieni trascinato e vieni portato al di là dei tuoi apparenti limiti.

Una serie di affiancamenti con diversi formatori mi ha permesso di integrare tutto ciò che nel frattempo avevo già fatto e imparato sul piano della mia crescita personale e sul piano sistemico, e mi ha dato l’opportunità di convogliare tutto all’interno della mia attività lavorativa aziendale.

A un certo punto ti guardi indietro, come dice Steve Jobs, unisci i puntini e ti accorgi che tutto ha avuto senso, tutto è stato un contributo a un tuo processo personale di “infuturamento”.

 

Davide: Come ti riesci a formare di solito?

 

Lorenzo: Spesso ho delle vere e proprie intuizioni, come se si accendesse una lampadina e facesse luce su qualcosa che già so o sento di possedere, un po’ come se invece di imparare qualcosa la stessi ricordando.

Sono molto curioso per indole, e devo essere sincero, “rubo” ovunque, alle volte mi basta una cosa qualsiasi per mettere in moto tutta una serie di connessioni. Forse la mia più grande risorsa non è la conoscenza, ma appunto la capacità di fare connessioni.

Sono molto veloce a ragionare in maniera olistica, quindi a mettere insieme i singoli tasselli, a riconfigurarli e poi a riproporli come qualcosa di più sensato, in un’ottica più ampia. Mi piace lo sguardo d’insieme più che il dettaglio nel formare.

 

Davide: Oggi quindi cosa fai di preciso?

 

Lorenzo: Da un lato, mi muovo ancora nel mondo organizzativo, a cui sono comunque affezionato e a cui sono grato perché mi ha permesso di fare tanto altro. Dall’altro, ho una scuola di formazione e di counseling, per aiutare le persone e formare le organizzazioni a orientarsi verso il loro migliore futuro, che è un po’ l’attività che accomuna tutti i formatori.

Credo esistano delle competenze che non sempre sono a disposizione delle aziende o non sempre sono note al mondo aziendale, ma che è importante introdurre, che hanno a che fare con l’imparare dal futuro anziché dal passato. Siamo abituati a imparare in maniera incrementale, dagli errori del passato, e alle volte neanche da quelli, come accade in molte aziende. C’è un format di riunione che propongo che si chiama proprio “Ottimi errori”, in cui si fa il punto di qualsiasi colpa o responsabilità, si fa un debriefing su come sia stato possibile che un determinato evento sia avvenuto e cosa possiamo imparare. L’errore di fatto è esperienza, ma solo se ne faccio buon uso.

Per concludere, mi piace aiutare le organizzazioni attraverso degli strumenti che non sempre sono così diffusi nel loro mondo, a orientarsi verso il futuro, con il cosiddetto solution focused work, l’approccio sistemico delle costellazioni organizzative, delle simulazioni dei sistemi a cui apparteniamo, e una certa attitudine a riscoprire proprio il valore umano. Posto infatti che la tecnologia ha fatto grandi passi avanti, la tecnologia umana alle volte rimane indietro.

 

Davide: Le costellazioni quindi funzionano anche quando le portiamo in azienda? Sono uno strumento utile a formare?

 

Lorenzo: Intanto spieghiamo cos’è una costellazione: è una modalità sistemica, cioè che studia e permette di scoprire le dinamiche di un sistema e di risolverle, e usa lo spazio e la tridimensionalità.

Il primo ambito in cui si è parlato di costellazioni in questo senso è quello familiare, e quindi è chiaro che lì si acceda a spazi molto personali, a una certa emotività, che nelle organizzazioni chiaramente il più delle volte non hanno spazio, salvo rare eccezioni in cui abbiamo un’autorizzazione precisa dal management per lavorare anche sulla dimensione personale. Nella stragrande maggioranza dei casi, le costellazioni organizzative richiedono, per certi versi, un’abilità ulteriore rispetto a quelle familiari, perché vanno depotenziate.

Con le costellazioni possono emergere anche delle dinamiche personali che non è detto che l’imprenditore o il leader di turno abbia voglia di affrontare. Portare le costellazioni in azienda vuol dire essere consapevoli del contesto in cui siamo, e usare modalità diverse, più dialogiche e cognitive, meno emozionali.

 

Ad esempio, si parte sempre da una sorta di focus group, per fare emergere dal gruppo qual è la vera domanda su cui lavorare, quella che ci guida come gruppo.

Dopodiché mettiamo in scena la costellazione, ma come strumento di management quindi rappresentiamo i vari elementi del sistema, li osserviamo nei loro movimenti, facciamo delle istantanee dei vari passaggi e poi recuperiamo la conoscenza implicita e collettiva che emerge da tutto questo lavoro per tradurlo in azione. La costellazione diventa un processo di sense making, di creazione di senso collettivo.

Oltre alle costellazioni, che sono uno strumento complesso e potente, oggi ci sono degli strumenti simili che vengono da contesti importanti, come dall’MIT e da Otto Scharmer, fondatore di questo modello che si chiama Theory U e del 4-D Mapping, una mappatura del sistema che assomiglia alla costellazione ma sotto un profilo molto più aziendale e più gestibile anche da persone che non necessariamente hanno affrontato un percorso di cinque anni per saper costellare e formare. Quindi è interessante vedere come anche in ambiti diciamo molto aziendali o accademici vengano proposte modalità che usano lo spazio, la prossemica, l’approccio sistemico per risolvere temi e problemi importanti sul piano sociale o organizzativo e per formare.

 

Davide: Hai qualche aneddoto sul formare che vuoi condividere con noi?

 

Lorenzo: L’aneddoto, che ritorna sempre, è come sia sorprendente per me vedere come formare con le costellazioni ci mostri uno specchio fedele della realtà, anche di cose o aspetti che non vogliamo accettare.

Mi è capitato di avere a che fare con aziende estremamente disponibili ad accogliere i cambiamenti e i suggerimenti che emergevano dalla costellazione, e che hanno veramente mosso dei grandi e profondi cambiamenti nel loro modo di lavorare, con risultati evidenti. Ma ho anche visto altre aziende, a parole molto predisposte, mettere delle barriere di fronte all’immagine di un futuro possibile.

Altre volte emergono delle situazioni per cui è meglio chiudere un progetto o una certa operazione, e spesso purtroppo ho incontrato delle resistenze, per poi vedere, magari dopo due o tre anni, che ciò che era emerso nella costellazione aveva assolutamente senso e che forse sarebbe stato meglio accogliere i cambiamenti proposti.

 

Davide: Lorenzo, di cosa parlerai durante la tua formazione con i partecipanti al percorso Unicornucopia?

 

Lorenzo: Mi piacerebbe portare la parte più essenziale di tutto ciò che ho imparato, il solution focused work, l’orientamento alle soluzioni, un approccio moderno e antico allo stesso tempo, che parte dal presupposto per cui parlare dei problemi crea problemi, parlare delle soluzioni crea soluzioni: è un modello molto interessante e molto veloce, per formare ma anche di self coaching, che ci aiuta veramente a orientare la nostra attenzione lì dove ci sono le risorse migliori, sia del team, sia individuali.

La seconda cosa che vorrei portare è l’utilizzo della tridimensionalità, che deriva proprio dalle costellazioni. I modelli e le famose matrici che usiamo è bene che non rimangano solo su una flipchart, ma che diventino tridimensionali. La tridimensionalità, lo spazio, ci danno la possibilità di lavorare in modo integrale, di muoverci fisicamente, di mappare il nostro sistema e di osservare dove ci troviamo rispetto a due polarità, ad esempio.

 

Davide: A proposito di polarità, che cosa potremmo mettere ai due estremi per farlo capire meglio a chi ci sta ascoltando? Quali due parole inseriresti?

 

Lorenzo: Ci sono due modalità di intendere questo lavoro: da un lato possiamo semplicemente mettere una decisione di orientarsi a un mercato piuttosto che un altro o di fare una scelta piuttosto che un’altra, quindi diventa un semplice processo di decision making, ma dall’altro lato c’è un modo ancora più divertente di mappare il gruppo.

 

Immaginiamo di fare un lavoro di gruppo per valutare il nostro stato attuale e il futuro migliore possibile che desideriamo raggiungere, anche sotto un profilo aziendale.

Una parete della stanza in cui ci troviamo equivale a 1, lontanissimo dal miglior futuro possibile, e quella opposta è 10, la condizione futura perfetta.

A questo punto chiediamo alle persone di valutare dove si trovano come gruppo e come azienda, e di collocarsi a vari gradi di distanza dalle due pareti.

Questo semplice esercizio ci permette di mappare la percezione delle persone rispetto a dove sentono di essere e di accorgerci immediatamente dei colleghi che sono rimasti indietro, che stanno soffrendo, che hanno una percezione difficile e pesante della realtà. Non possiamo ignorarli, dobbiamo in qualche modo ascoltare la loro voce, prenderci la responsabilità di tutti i componenti del team, per cogliere visioni diverse e uscire dal nostro punto di vista. E di colpo emergono tutte le soluzioni possibili, e ci accorgiamo che alcune possono essere adottate anche subito.

 

Davide: Hai dei film particolari che utilizzi per formare?

 

Lorenzo: Qualche volta uso dei video che mi hanno toccato profondamente, e che hanno a che fare o con il cambio di percezione, cioè con cosa accade quando guardo la parte più luminosa della realtà, anziché focalizzarmi sulla parte problematica, oppure hanno a che fare con l’attivazione delle nostre risorse migliori.

Poi ci sono alcuni film emblematici: quando si parla di leadership, c’è “Invictus” che è un film meraviglioso, non solo perché racconta la storia di Nelson Mandela, ma perché si focalizza su un un’impresa veramente significativa, e puoi davvero scorgere dietro quel film tecniche di change management e di change facilitation, che sono state applicate nel processo di riunificazione del Sudafrica.

 

Un altro video di ispirazione racconta la storia di un gruppo di ragazzi giovanissimi che vivono sull’isola di Koh Panyee, in Thailandia. Questi ragazzi hanno la passione per il calcio, ma l’isola è talmente piccola da non avere spazio fisico per un campo da gioco, tanto più che tutte le abitazioni di Koh Panyee sono palafitte.

Però, a dimostrazione che i sogni, quando sono autentici, muovono risorse impensabili, iniziano a costruire un campo galleggiante, raccogliendo assi di legno e vecchie reti da pesca. Iniziano ad allenarsi su questa piattaforma galleggiante di fortuna, a piedi nudi e scivolando, nonostante ci siano chiodi sporgenti, nonostante il pallone finisca ogni momento in acqua.

 

Gli abitanti del loro villaggio, come spesso accade, non li supportano e anzi, li scoraggiano. Un giorno, dopo molti allenamenti, decidono di iscriversi ad un piccolo torneo di calcio, e mettendosi alla prova si accorgono di essere bravi, arrivando a disputare la finale.

Il significato mi sembra chiaro, e ha a che fare col pensare fuori dagli schemi e col farsi le giuste domande, le cosiddette power questions. Le aziende che hanno problemi sono quelle che hanno smesso di porsi domande, una su tutte: “Cos’altro è possibile?”. Quando smetto di farmi questa domanda, mi affeziono al passato e a ciò che ho sempre fatto, fermandomi.

 

Davide: Grazie ancora Lorenzo per questa intervista.

 

Immagine da Depositphotos.

Ascolta “Missione Formare intervista a Lorenzo Campese | Episodio 124” su Spreaker.

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