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Filippo di Bevagna

Questa storia l’ho scritta a settembre 2011, è stato il mio primo progetto del manuale avanzato Toastmasters “The Entertaining speaker” e l’obiettivo generale di questo discorso è quello di intrattenere.

Più nello specifico:

Entertain the audience through use of humor and/or drama drawn from your personal experience.
Organize an entertaining speech for maximum audience impact.

Bevagna è un piccolo paese dell’Umbria.
Forse a voi non dice nulla, ma ai tempi dei Romani era una città molto nota: l’antica via flaminia che collegava Roma con l’adriatico, passava proprio da qui.
Ho scoperto questa cittadina quest’estate durante le mie vacanze ed è qui che ho incontrato Filippo.
Filippo è un personaggio affascinante e misterioso dalla cultura quasi infinita.
È la guida che accompagna chi vuole visitare la casa di un mercante del medioevo completamente ricostruita secondo i canoni dell’epoca.
Questa visita mi ha colpito così tanto che voglio raccontarvela.

La casa del mercante è al primo piano.
Salgo le scale incuriosito e arrivo in una stanza abbastanza grande da ospitare sia la cucina che un letto matrimoniale.
Tutto è stato minuziosamente ricostruito: gli utensili, i mobili, le decorazioni.
Si respira l’aria del medioevo.
In questa stanza il mercante viveva con la sua famiglia.
Doveva essere un ricco mercante, perché aveva due punti fuoco nella stanza: il forno e il camino.
La mia attenzione è subito catturata da un oggetto in pietra grande quanto un piccolo tavolo: una macina.
Cosa ci faceva una macina nella casa di un mercante?
Non poteva di certo usarla visto che all’epoca i mulini erano dello Stato o delle Chiesa e si pagava per usarli. Non si poteva macinare la farina in casa. Se non ti vedevano passare dal mulino, mandavano qualcuno a fare un’ispezione.
La macina aveva un’altra funzione. Nel medioevo la mortalità infantile era altissima e per essere sicuri di avere almeno un figlio che avrebbe preso in mano l’eredità della famiglia si facevano almeno otto/dieci figli. La macina era quindi un regalo dei parenti, un augurio di fertilità e prosperità.
Alle mie spalle c’è il letto matrimoniale: sarà stato lungo si e no un metro e mezzo.
Secondo voi, erano così piccoli all’epoca?
No, dormivano seduti, con la coperta alzata fino al collo e le spalle appoggiate alla spalliera del letto. È per quello che si chiama spalliera.
Sapete, tantissimi modi di dire di oggi nascono nel medioevo, ma spesso ci siamo dimenticati della loro origine.
Filippo me ne ha raccontati alcuni.
Prendiamo ad esempio il detto “essere di manica larga”
Chi poteva permettersi vestiti con le maniche larghe?
Qualcuno che non rischiava di sporcarsi le maniche lavorando ad esempio la terra o lavando i panni: sovrani, nobili, ricchi mercanti, cardinali.
E cosa diciamo invece di chi è tirchio e non paga mai? “Sei di braccine corte”, a indicare le ristrettezze anche dell’abito che indossava.
E cosa diciamo invece quando dobbiamo darci dentro con qualcosa? “Rimbocchiamoci le maniche”, così come facevano contadini e operai nel medioevo.
Invece da dove è nata l’espressione “è un altro paio di maniche”
Questa espressione si riferisce al fatto che spesso nel medioevo i vestiti erano corredati da maniche di ricambio per meglio abbinarle agli altri indumenti indossati.
Le maniche, spesso realizzate con tessuti preziosi e adorne di gioielli divennero poi un regalo che le dame davano ai cavalieri vincitori. Ben presto divennero il dono scambiato tra gli innamorati.
Da qui l’origine della parola mancia da manché che in francese significa manica.

Nel medioevo il colore prevalente per i vestiti era il grigio, il colore naturale dei tessuti dell’epoca. Le tinture erano costosissime e non si potevano lavare troppo spesso i capi d’abbigliamento per non far perdere loro il colore.
Sapete perchè?
C’era un collegamento diretto tra l’intensità del colore e la ricchezza delle persone.
Un colore sbiadito significava poco potere o aver perso soldi e potere.

Come capire quindi qual era la dama più ricca da corteggiare?
Tra tutti i tessuti, il rosso era il tessuto più prezioso.
La dama in rosso sarebbe stata sicuramente la più ricca.
Erano rossi anche gli abiti di vescovi e papi, rosso il mantello regale di molti re, rosso il vestito di Babbo Natale.
Il rosso è così rimasto nella nostra cultura tanto che a Milano c’è persino il detto “cinc ghei puse ma rus”, 5 monete in più, ma rosso.
Il significato dei colori è diventato parte di molte nostre espressioni: cosa diciamo di una festa noiosa e monotona? Era un grigiume, era un mortorio.

Seguo Filippo ed entriamo nel secondo locale di questo appartamento medievale. la sala del ricevimento.
Una stanza grande dove il mercante fa sfoggio di tutto il suo potere e ricchezze per impressionare gli ospiti.
C’è un altro punto fuoco rappresentato dal grande camino che riscalda la stanza, c’è una ricca tavola apparecchiata con suppellettili da tutti il mondo allora conosciuto e ci sono più di una decina di bicchieri e brocche in vetro.
Vetro.
All’epoca così raro e prezioso da avere quasi più valore dell’oro.
Per dargli ancora maggior valore lo dipingevano di giallo per farlo assomigliare ancora di più al metallo prezioso.
Per sedersi a tavola c’erano lunghe panche.
E questo ci riporta alla mente un’altra espressione che oggi conosciamo fin troppo bene.
Bancarotta.
Sapete perché si chiama così?
Banca (da cui il nostro panca) era il nome del tavolo di legno posto al di fuori della bottega e usato per esporre la merce.
Se il mercante era insolvente, gli veniva rotta la banca e quindi faceva bancarotta.

Filippo è pronto a raccontarci molto altro su usi e costumi del medioevo.

Ha appena iniziato a parlarci di come gli scacchi fossero un altro simbolo di ricchezza per questo mercante quando suona il campanello.

È finito il tempo e un nuovo gruppo è pronto per farsi guidare da Filippo nel medioevo.

Sarà per la prossima volta…

Davide Giansoldati

 

Foto di fausto manasse da Pixabay

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